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Farmaco preventivo a base dosi dimezza le ricadute del tumore alla mammella

Oncologia Redazione DottNet | 15/04/2019 14:16

La somministrazione per soli 3 anni di basse dosi (5 milligrammi al giorno) di tamoxifene diminuisce del 50% il rischio di recidiva

I risultati di uno studio tutto italiano pubblicati sul 'Journal of Clinical Oncology' (Jco), rivista ufficiale dell' Asco-American Society of Clinical Oncology, "cambiano la pratica clinica delle terapie post-intervento per i tumori al seno 'in situ' che rappresentano il 25% di tutte le neoplasie mammarie", aprendo "una nuova era" che potrebbe allargarsi anche alla prevenzione primaria del big killer femminile ad esempio nelle donne sane con mutazioni ai 'geni Jolie' Brca. L' annuncio è dell' Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, primo centro reclutatore del trial 'Tam-01' che ha coinvolto 14 strutture della Penisola per un totale di 500 pazienti. I ricercatori guidati da Andrea De Censi, direttore di Oncologia medica agli ospedali Galliera di Genova e consulente scientifico Ieo, hanno dimostrato che la somministrazione per soli 3 anni di basse dosi (5 milligrammi al giorno) di tamoxifene, il farmaco preventivo più studiato per il cancro al seno, diminuisce del 50% il rischio di recidiva e del 75% il rischio di un nuovo tumore all' altra mammella (tumore controlaterale) con effetti collaterali molto bassi.

"Rappresenta quindi una nuova opzione di trattamento per le tutte le donne che possono trarne beneficio", affermano gli autori. "L' effetto protettivo di tamoxifene ad alte dosi (20 mg al giorno per 5 anni) è noto da tempo - ricordano - ma la tossicità non trascurabile (aumento del rischio di tumore all' endometrio e di tromboembolia, oltre a sintomi menopausali e vasomotori, problemi ginecologici e sessuali) ne ha fino ad oggi impedito un uso esteso. La dimostrazione scientifica della pari efficacia delle basse dosi, con ridotti effetti collaterali, apre dunque una nuova era". Lo studio randomizzato Tam-01 - condotto in centri oncologici attivi nelle aree di Milano, Genova, Napoli, Modena, Torino, Tortona, Forlì, Meldola, Carpi, Varese, Vicenza, Bari, Ravenna, Pavia e Catanzaro, con l' Ieo primo per reclutamento sotto la responsabilità di Bernardo Bonanni - ha arruolato donne con cancro della mammella non invasivo (carcinoma duttale in situ, carcinoma lobulare in situ, iperplasia lobulare atipica), già sottoposte a intervento chirurgico ed eventuale radioterapia. Le pazienti sono state suddivise con metodo statistico in 2 gruppi, rispettivamente trattati con bassi dosi di tamoxifene o placebo per 3 anni, e sono state seguite per un periodo di follow-up di circa 5 anni.

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 "Le pazienti trattate con tamoxifene a basse dosi - riferisce De Censi - hanno mostrato il 52% in meno di ripresa di malattia o nuovo tumore: 14 casi, rispetto ai 28 nelle donne che hanno assunto placebo. Inoltre, gli effetti collaterali più gravi del farmaco sono stati addirittura più numerosi tra le donne nel braccio con placebo (16) che nelle pazienti nel braccio con tamoxifene a basse dosi (12). Segno che si tratta di eventi occorsi indipendentemente dall' assunzione del farmaco, ma causati da qualcuno dei tanti fattori di rischio che concorrono al manifestarsi di una malattia, quali l' età della donna". "Tra i 2 bracci - evidenzia lo specialista - non sono state rilevate differenze statisticamente significative ad esempio rispetto ai sintomi di menopausa, in particolare le vampate di calore, la secchezza vaginale e i dolori alle articolazioni: disturbi molto frequenti con la dose da 20 mg di tamoxifene o con altri farmaci antiormonali, che hanno fino ad oggi allontanato le pazienti dalla terapia preventiva. Finalmente ora possiamo proteggere le donne dalla ripresa del tumore, rispettando la loro qualità di vita".

Il tamoxifene - spiegano dall' Ieo - agisce bloccando i recettori ormonali a cui si legano gli estrogeni, gli ormoni femminili che stimolano le cellule della ghiandola mammaria a crescere e a sviluppare un tumore, e si prescrive per evitare il ripresentarsi della neoplasia o l' insorgenza di forme di tumore invasive, quindi più gravi. L' ipotesi che un basso dosaggio di tamoxifene potesse essere efficace risale a una ventina di anni fa, confermata anche da alcuni studi pilota, ma "diversi fattori hanno ostacolato la realizzazione di una ricerca che coinvolgesse un ampio numero di donne, non ultimo la mancanza di un adeguato sostegno economico per un farmaco a basso costo senza interesse commerciale".

"Da quelle prime osservazioni siamo arrivati a oggi - commenta Bonanni, direttore della Divisione Prevenzione e Genetica oncologica dell' Istituto europeo di oncologia - e Ieo è sempre stato in prima fila in ogni studio perché abbiamo qui una cultura e un' esperienza unica in Italia nella protezione delle persone ad alto rischio oncologico, in particolare le donne ad alto rischio di tumore del seno. Per questo siamo felici dei risultati che appaiono oggi sulla rivista oncologica più citata al mondo, il 'Jco', ma già stiamo pensando al futuro". "Sulla base delle evidenze dello studio Tam-01 - anticipa l' esperto - crediamo che basse dosi di tamoxifene possano rappresentare un' opportunità di prevenzione nelle donne sane ad alto rischio di sviluppare un tumore al seno, come ad esempio le donne con mutazione di Brca. La strategia era già stata tentata con il dosaggio a 20 mg, ma non ha avuto pieno successo per la comparsa di troppi effetti avversi. Ora che appare risolto il problema dell' alta tossicità, insieme a De Censi stiamo ipotizzando un nuovo studio di prevenzione primaria con tamoxifene a basse dosi".

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